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Megliadino San Vitale

Con il nostro viaggio #daiColliall’Adige, torniamo oggi nella Bassa Padovana per visitare un vero e proprio gioiello altomedievale: l’antica pieve di Santa Maria dell’Anconese situata nel comune di Megliadino San Vitale.

Di San Vitale non si sa molto, tuttavia è certo che fu molto importante per quest’area il periodo romano in cui alcuni componenti della famosa X Legione si stanziarono qui, dopo aver avuto in dono queste terre per i loro meriti in guerra.

 

Dopo la “Rotta della Cucca” nel 589, pur se in pieno periodo longobardo, qui ebbe una certa influenza il potere di Ravenna che vi fece insediare qualche manipolo d’uomini e vi eresse alcune chiese. Il culto di S. Vitale, santo venerato nei domini dell’Esarcato, è forse la prova più certa dell’influenza della cultura ravennate in questo territorio, come può esserlo la radice “Icona” o “Iconia” o “Ancona” (termine usato nella cultura bizantino-greco-ravennate per indicare una sacra immagine) da cui deriva il nome “Anconese”, dell’antichissima chiesa dedicata a S. Maria.

 

La Chiesa di Santa Maria dell’Anconese (che negli antichi documenti viene appunto citata con il nome di Iconia, del Conesio, del Carnese, Cavoese) sorge in piena campagna, a sud di S.Vitale.  Si pensa che fino al 970 fosse stata la pieve di Megliadino e si è certi che quando i diritti parrocchiali passarono a S. Fidenzio, essa divenne cappella di un piccolo monastero di monache benedettine alle quali spettavano decime in Este, nella stessa Scodosia e alcune terre presso S. Vitale di Megliadino. Fu a lungo abbandonata e parte del tetto e delle sue murature furono utilizzate per la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri.

 

Nel ‘400 fu in qualche modo rimessa “in vita” da alcuni fedeli che in essa veneravano quell’antichissima, miracolosa immagine della Madonna  – Madonna Greca – che ancora oggi è sistemata sull’altare maggiore e che appare alquanto ritoccata: forse è questa l’immagine quella “icona” o “iconia” o “ancona” che col tempo ha portato il piccolo tempio ad essere contraddistinto con il nome di “Anconese”.

 

Tuttavia anche la devozione a quella sacra immagine doveva essersi di molto affievolita se nella sua quinta visita il Barozzi così la descrive: “…Da quel che ne rimane, si vede che la chiesa era di forme eleganti sia all’interno che all’esterno, ove  vi sono pilastri equidistanti e ben fatti. All’interno è lagra passi 4, lunga 8 e alta 3 e mezzo (ricordiamo che il passus di quell’epoca equivale a m.1,738) e ha verso oriente tre absidi semicircolari che ancora esistono con la loro unica finestrella. Nella parete a sud vi sono una porta e tre finestre e in quella occidentale (la facciata) una porta e un tondo. Nell’angolo sud-est vi è un campanile che pur se privo di grosse pietre alla base è ancora integro. L’ingresso è pieno di rovi. E’ priva di pavimento e di tetto e all’interno l’intonaco mostra qualche pittura.  Si dice che i campi limitrofi di sua proprietà siano passati sotto l’abbazia di Carceri e non si sa per qual diritto e si dice che così sia stato per pietre e altro. Ora è senza alcun reddito ed è abbandonata”.

 

Risulta facile, guardando oggi la chiesa, intuire quali siano le sue parti più antiche. A oriente le tre absidiole semicircolari di cui parla il Barozzi non esistono più e al loro posto vi è un piccolo presbiterio a pianta quadrata. Verso occidente è, invece, evidente quel notevole allungamento della struttura di cui parla la settecentesca lapide posta all’interno della chiesa, mentre è altrettanto chiaro un rialzamento del soffitto. Un campanile si erge sulla sinistra dell’edificio, ma non è quello descritto nel resoconto della “visita”, che doveva sorgere invece a sud-est e cioè sulla destra dell’antica facciata.

 

L’antica chiesa è racchiusa in un recinto murario centrale sulle cui pareti esterne a nord e a sud sono evidenti le lesene di sostegno e sul cui tessuto murario spiccano le antiche pietre romane e le tracce di tre piccole finestrelle. Oggi la chiesetta è per fortuna ben tenuta dall’amore dei fedeli della contrada, ma non è da dimenticare l’appassionata opera di un “piccolo” parroco che qualche anno fa si è molto adoperato per toglierla dall’abbandono, favorendo i necessari restauri e contribuendo ad altre piccole scoperte, come quel lacerto d’affresco, per esempio, in cui compare un San Sebastiano nei suoi semplici tratti.


Iniziativa finanziata dal Programma di sviluppo rurale per il Veneto 2014-2020

Organismo responsabile dell’informazione: GAL Patavino

Autorità di gestione: Regione del Veneto – Direzione AdG FEASR Parchi e Foreste

 

L’iniziativa è sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo

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